Progetto per piazza del Duomo, 1984

Il progetto viene elaborato da Jonathan De Pas, Donato D’Urbino, Paolo Lomazzi, con Roberto Sambonet, per la mostra “Per una Piazza del Duomo diversa” tenuta presso la Galleria San Fedele nel marzo 19841. La mostra raccoglie 47 proposte, elaborate da 153 progettisti, che – in assenza di una committenza e di richieste specifiche – avanzano ipotesi molto diverse, da soluzioni di arredo a ipotesi più architettoniche, che tendono a ridimensionare le misure della piazza2.

Il gruppo De Pas - D’Urbino - Lomazzi - Sambonet partecipa anche con una seconda proposta – attribuibile soprattutto a Sambonet, che compare come capogruppo – meno definita nelle sue forme e che consiste essenzialmente in una serie di serre da collocare in piazza del Duomo e in altre piazze limitrofe (piazza della Scala, piazza Fontana)3.

In concomitanza con la mostra viene indetta dal Centro San Fedele una consultazione pubblica sui progetti, in modo da conoscere richieste e desideri dei milanesi, sollecitati a votare la proposta migliore e lasciare loro commenti4.

Il progetto di cui ci occupiamo, con capogruppo Jonathan De Pas, prevede di collocare nella piazza gli originali o riproduzioni delle statue oggi sulla cima delle guglie, sui loro piedistalli gotici. L’idea è di renderle visibili pubblicamente e da vicino, creando così una sorta di museo a cielo aperto che permette di apprezzarne il valore storico e artistico5. La pianta della copertura del Duomo viene riportata a terra, davanti alla facciata, e la disposizione delle statue si attiene rigorosamente a quella originaria.

La riproduzione della pianta del Duomo ha dimensioni compatibili con l’enorme estensione dello piazza, e gode di alcune corrispondenze geometriche con edifici e monumenti esistenti: il “transetto” si trova quasi esattamente sull’asse della Galleria, mentre la “facciata” si attesta in prossimità dell’allineamento di via Mazzini, lasciando uno spazio libero tra essa e il limite ovest della piazza equivalente a quella tra l’abside reale del Duomo e l’edificio all’estremità opposta. Il tracciato della pianta si sovrappone alla pavimentazione e al sagrato esistenti, proseguendo anche sui gradini e sulla zona rialzata davanti ai portali6.

Il progetto non richiede particolari modifiche, tranne lo spostamento delle uscite della metropolitana, omesse nella planimetria generale, e del monumento equestre di Vittorio Emanuele II: attualmente sull’asse di via Silvio Pellico – poco percepibile nella realtà a causa della continuità dei portici settentrionali – viene traslato leggermente verso est in modo da inserirsi in uno spazio libero tra le statue.

Il risultato complessivo, che si coglie soprattutto nel disegno acquerellato in prospettiva, opera di Sambonet, è quello di uno spazio magico, metafisico e surreale, non privo di tangenze con la ricerca artistica di Dino Buzzati, che dedicò un suo famoso disegno al Duomo, trasfigurato in immagine geologica7.

La proposta si inserisce coerentemente nell’opera e nella poetica di De Pas, D’Urbino e Lomazzi, la cui attività di designer è spesso caratterizzata da una approccio ironico e giocoso: basti pensare ai loro elementi d’arredo più celebri, dalla poltrona gonfiabile Blow, alla poltrona Joe e all’appendiabiti Sciangai; da considerare anche il rapporto con loro altre proposte per la città, come il progetto per il concorso “La città come ambiente significante” del 1972, relativo alla sistemazione degli spazi pubblici nel quartiere Magenta8.

Le motivazioni addotte dai progettisti sono varie: la dimensione eccessiva della piazza e il suo rapporto infelice con la facciata del Duomo, il fatto che la piazza sia incompiuta, la difficoltà di godimento delle statue nella loro posizione attuale9.

L’idea del progetto è legata a ricordi di gioventù di Lomazzi – suo padre Mario, titolare della ditta Giovanni Lomazzi e Figli, fornitrice della Fabbrica del Duomo, gli aveva mostrato le statue in deposito, rimosse dalla chiesa e sottratte alla vista – e alla scoperta dell’esercito di terracotta in Cina nel 1974, oggetto di una mostra a Lugano nel 198110.

Il tema del museo a cielo aperto, o comunque avvicinato agli abitanti, accomuna questo progetto ad altre proposte per Milano, precedenti o coeve: il progetto “Cinque vie” (1959-1960) di Francesco Gnecchi Ruscone, Piero Monti, Carlo Santi e Silvano Tintori e il progetto per il quartiere di corso Garibaldi (1981) di Fredi Drugman11.

Analogie e riferimenti del progetto si possono trovare inoltre in esempi distanti nel tempo e nello spazio, ma accomunati dall’atmosfera metafisica e dal contesto italiano, come il Prato della Valle a Padova e lo Stadio dei Marmi a Roma12.

I progetti della mostra del Centro San Fedele non avranno seguito, e rimane irrealizzato anche il successivo progetto di Ignazio Gardella: un edificio con fontane e belvedere sul lato ovest, sul sito del Palazzo dell’Indipendenza previsto nel progetto ottocentesco di Giuseppe Mengoni13. Dopo la costruzione dei padiglioni dell’Arengario (1939-1956) la piazza non ha conosciuto modifiche di rilievo: gli interventi più significativi sono la pedonalizzazione della piazza, realizzata alla fine degli anni Ottanta, e la rimozione delle insegne pubblicitarie dalla facciata della Casa Galli e Rosa, meglio nota come “Palazzo Carminati”, sul lato ovest, nel 1999. La pavimentazione è stata restaurata di recente, mentre la zona in fondo a ovest, sistemata con aiuole, ospita provvisoriamente piante a medio fusto piantate in occasione di Expo 201514.

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