Progetto per piazza del Duomo, 1937

In occasione del concorso per la sistemazione di piazza del Duomo un gruppo di giovani laureati e laureandi del Politecnico – Gianni Albricci, Augusto Magnaghi, Mario Terzaghi, Pier Italo Trolli e Marco Zanuso – elabora un progetto in forme razionaliste, con il motto A.M.T.T.Z.51. Il concorso è indetto nel 1937 in seguito alla demolizione della Manica Lunga di Palazzo Reale, e segna l’atto conclusivo di una vicenda che inizia nella seconda metà dell’Ottocento con la realizzazione della nuova piazza del Duomo e della Galleria Vittorio Emanuele II, progettate da Giuseppe Mengoni2. Il concorso prevede, oltre al progetto per l’Arengario3, il prolungamento dell’edificio dei portici meridionali e la sostituzione dell’edificio sul lato opposto del Duomo, il cosiddetto “Carminati”, con il nuovo Palazzo delle Corporazioni. La commissione del concorso è formata da personalità importanti dell’epoca: Gino Chierici, Ugo Ojetti, Antonio Maraini, Gaetano Moretti, Giuseppe Gorla, Ambrogio Annoni, Giovanni Greppi, Francesco Fichera e Paolo Anelli4.

Il progetto di Albricci, Magnaghi, Terzaghi, Trolli e Zanuso, che non riceve attenzione a causa dell’orientamento conservatore della giuria e dell’establishment dell’epoca, prevede due nuovi edifici vetrati a struttura metallica. Il Palazzo delle Corporazioni, al posto del “Carminati”, riprende nelle sue linee orizzontali le quote degli edifici mengoniani5; L’Arengario è invece un edificio cubico, sostenuto da un sottile telaio metallico e interamente vetrato, in modo da risultare trasparente, e lievemente rialzato su un podio in muratura, cui si accede da un lato a gradini rivolto verso la piazza. All’interno sono previsti due livelli, collegati da uno scalone interno, in cui si attua una separazione degli spazi attraverso pareti in blocchi di pietra, in mondo da dare una relativa intimità e riservatezza agli spazi per le riunioni del Duce e dei gerarchi. La sala a doppia altezza collocata al primo piano dispone di portefinestre che si affacciano su una grande terrazza che guarda sulla piazza. La copertura dell’edificio ha un profilo lenticolare, determinato probabilmente da ragioni strutturali, che stempera la rigorosa ortogonalità dell’insieme6. Davanti, sul lato sinistro in prossimità della facciata del Duomo, è collocata la tribuna per i discorsi di Mussolini, contenuta in un semplice parallelepipedo in muratura, collegata con una breve passerella alla terrazza dell’Arengario. Una seconda passerella, chiusa in questo caso, collega l’Arengario con Palazzo Reale, innestandosi nella grande parete cieca rivestita in blocchi di pietra che delimita il palazzo e fa da fondale al cubo di vetro7. Questa parete risarcisce la ferita causata dalla demolizione della Manica Lunga e delimita un corpo di nuova progettazione, non definito nei dettagli, che corrisponde circa all’attuale edificio sul lato est di via Marconi (oggi parte del Museo del Novecento). La sobrietà, la leggerezza e la trasparenza che caratterizzano il progetto sono in evidente e polemico contrasto con l’architettura che si afferma negli anni Trenta come stile ufficiale degli edifici del regime fascista, cui contribuisce in modo determinante Marcello Piacentini8.

Il progetto razionalista per l’Arengario mostra evidenti parentele con il progetto di torre proposto da Ignazio Gardella per il concorso per una torre Littoria del 1934, situata nello stesso sito9: si ritrovano i temi del sollevamento dell’edificio su un podio, la tribuna autonoma dall’edificio principale e contenuta in un volume parallelepipedo, e il telaio strutturale che si contrappone dialetticamente alla muratura in pietra10. Il tema del telaio è una costante del razionalismo italiano e accomuna il progetto per l’Arengario ad altri celebri edifici razionalisti, primo fra tutti la Casa del Fascio di Como, simile per destinazione funzionale e per il tema del dialogo tra architettura moderna e contesto storico-monumentale11.

Non è inoltre da escludere l’influenza di questo progetto sul monumento ai caduti nei campi di Germania (1946, ricostruito nel 1952 e nel 1955) realizzato con tubi metallici nel Cimitero Monumentale di Milano su progetto dei BBPR, anch’esso rialzato dal suolo e definito dal rapporto tra struttura, parti trasparenti, parti piene12.

Oggi il sito è occupato dai padiglioni gemelli dell’Arengario realizzato tra il 1939 e il 1956 su progetto di Enrico Griffini, Pier Giulio Magistretti, Giovanni Muzio e Piero Portaluppi, di forme classiciste, su tre piani, con grandi aperture ad arco ai due livelli superiori e rivestimento in blocchi di marmo di Candoglia13. Assumono il ruolo di propilei che inquadrano la via Marconi, strada d’accesso al quartiere di piazza Diaz, realizzato a partire dalla seconda metà degli anni Trenta sull’area dell’antico quartiere del Bottonuto. Il padiglione est, l’Arengario vero e proprio, è stato quasi totalmente rifatto all’interno per adattarlo a sede del Museo del Novecento (progetto di Italo Rota, 2001-2010), mentre il padiglione ovest, terminato negli anni Cinquanta, ospita uffici comunali e la sede del Consiglio di Zona 1. Nonostante le differenze stilistiche, il progetto razionalista e quello realizzato presentano tuttavia alcuni elementi in comune, come il ritmo regolare della struttura, l’uso di murature in conci di pietra, la presenza dell’arengo (oggi rimosso) sul lato sinistro, verso il Duomo, la terrazza al primo piano, la copertura curva e il tema del distacco del nuovo edificio dal volume storico di Palazzo Reale14.

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